di Marco Antonellis
Il nervosismo è palpabile anche nei corridoi più silenziosi di via Bellerio. Con il centrodestra sempre più in assetto Meloni-centrico, la Lega sembra vivere una fase di stallo che a molti, dentro e fuori il Carroccio, appare ormai irreversibile. Ma sarebbe un errore scambiare il silenzio per disciplina: sotto la superficie, la tensione è alle stelle. “Matteo è isolato, e lo sa. Il problema è che continua a fare finta di niente confida una fonte interna al partito, uno di quelli che da anni accompagna Salvini nelle sue battaglie più visibili e in quelle più difficili. Il vicepremier ha rimediato la bocciatura da parte della Corte dei Conti del Ponte sullo Stretto e continua a parlare di pace fiscale, ma la Lega reale – quella delle sezioni, dei sindaci, dei consiglieri regionali – ha altro per la testa. E comincia a perdere la pazienza. “Siamo passati dal 34% al 9% e ci chiedono di fare finta di niente. Di cosa dobbiamo essere contenti, esattamente?”, sbotta un deputato del Nord, rigorosamente anonimo. Nei gruppi WhatsApp interni si moltiplicano le ironie, le battute amare, i messaggi “per sbaglio” recapitati anche ai fedelissimi di Salvini. Il clima è da resa dei conti. A irritare è soprattutto la gestione personalistica del partito. “Matteo fa e disfa senza confrontarsi con nessuno. Il cerchio magico è diventato un triangolo, e neanche equilatero”, ironizza un europarlamentare uscente, che difficilmente sarà ricandidato: “Abbiamo trasformato un partito territoriale in una pagina Facebook. E non ci seguono più neppure lì”..Ma il nodo vero, quello che crea fastidio anche tra i fedelissimi, è la sudditanza verso Giorgia Meloni. All’interno della Lega cresce il fronte di chi ritiene che Salvini abbia svenduto l’identità del partito in cambio di qualche poltrona e della permanenza in uno dei due ministeri più “vuoti” del governo, quello delle Infrastrutture. «Siamo passati dal parlare al Nord al rincorrere il Sud, dal federalismo al nazionalismo, dal “Prima il Nord” al “Prima Giorgia”, sintetizza con sarcasmo un consigliere lombardo.
Secondo fonti riservate, una parte della vecchia guardia avrebbe già avviato contatti esplorativi con l’area di Luca Zaia, che pubblicamente resta defilato ma che nel Veneto conta ancora su un consenso trasversale. Il governatore, da sempre attento a non rompere platealmente, non smentisce né conferma. Ma da mesi ha smesso di difendere Salvini.
Luca tace, ma il silenzio a volte è più rumoroso di mille dichiarazioni”, dice un ex assessore regionale. Non una parola sul crollo nei sondaggi, nessuna autocritica, solo promesse di “rilancio comunicativo” e focus sulla “sovranità energetica”. Una formula che, a chi conosce bene i meccanismi del potere leghista, suona come l’ennesimo pannicello caldo. “La verità? Non sappiamo più chi siamo. La Lega è un guscio”, confessa con amarezza un altro senatore del Nord.Sul piano internazionale, poi, la partita è ancora più complicata. L’ingresso nel gruppo dei Patrioti europei di Orbán e Le Pen è stato voluto e forzato da Salvini, ma la mossa non convince. Non convince i moderati, non convince i produttori del Nord, non convince chi ha memoria di un partito che si professava “padano”, non “putiniano”. “Matteo cerca una legittimazione a Bruxelles che non troverà più. Gli unici a credergli sono quelli che non votano”.
C’è chi, tra i leghisti più inquieti, guarda con attenzione a ciò che resta di Forza Italia. “Tajani ha più contatti con gli industriali in un giorno di quanti Salvini ne abbia in sei mesi”, è il paragone, impietoso, di un consigliere lombardo. Il sospetto — condiviso da molti — è che il leader della Lega stia traghettando il partito verso un destino irrilevante, aggrappato a una narrativa sovranista che ha perso appeal ma resta utile agarantire qualche invito nei talk show.
Intanto, a Milano, si lavora sottotraccia. Un dossier sul dopo-Salvini sarebbe già aperto, secondo fonti interne. Nessuno lo ammette apertamente, ma tutti sanno che qualcosa si muove. Il problema? Nessuno vuole essere il primo a uscire allo scoperto. Per ora si aspetta. Le regionali in corso saranno il banco di prova. O il funerale politico di una leadership che ha smesso di ascoltare.
Fonte l’Espresso



