di Francesco Jori (Fonte Ilnordest.it )
L’autunno del patriarca. In tempi lenti e con modi soft, va maturando nella Lega il dopo-Salvini: non con attacchi frontali, ma con una campagna che fa leva sul recupero dell’identità di fondo del partito, stravolta dal segretario a colpi di diktat unilaterali.
Sono due capisaldi che rappresentano l’esatta antitesi della linea- Salvini, riassumibile nello slogan «la Lega sono io», versione padana della celebre massima francese di Luigi XIV: una monarchia assoluta per diritto divino, con i poteri accentrati in una sola persona.
Tenendo a battesimo la sua “Lega secondo Matteo”, Salvini aveva enunciato & annunciato l’obiettivo di raggiungere il 20%. La cruda realtà dei numeri segnala che dalle europee del 2019 a oggi il partito ha perso sette milioni di voti; e rimane inchiodato a una scarna oscillazione tra 8 e 9%, a dispetto delle esternazioni seriali di un segretario che si intesta ogni anche modesto segnale, arrivando a speculare perfino sugli incidenti stradali.
Tutto questo senza alcuna legittimazione interna: Salvini guida il partito dal 2013; l’unico congresso in cui si è votato sulla carica risale al 2017; anche quello che si terrà a breve resterà sul piano esclusivamente programmatico. L’auto-conferma seriale. Ma è proprio per questo che nella Lega è partita la controffensiva: a Romeo ha fatto seguito il presidente della Lombardia Attilio Fontana, chiarendo che «il problema del Nord c’è, ed è sempre più presente»; e si è associato perfino il premio Oscar della cautela Luca Zaia, confessando che «a me piaceva di più la Lega Nord».
Non a caso il partito di Giorgia Meloni, sulla base dei numeri, rivendica a voce sempre più alta la presidenza della Regione: come ribadito ieri dal ministro Luca Ciriani. Per la Lega tutta, non solo quella veneta, sarebbe una mazzata micidiale; e non è certo con la linea-Salvini e i suoi magri esiti elettorali che può difendere la postazione. E se cede-cade il Veneto…