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Regionali Toscana,Il processo è a Vannacci ma l’imputato è Salvini

di Andrea Colombo 

Fonte Il Manifesto

Il disastro in Toscana lo ha combinato Vannacci ma Vannacci non è arrivato da solo: ce l’hanno mandato. Anzi ce l’ha mandato il capo, Salvini Matteo, un po’ sperando di ripetere il boom delle europee, quando il generalissimo fece lo strapieno di voti, e un po’ anche per altre ragioni. I fedelissimi sussurrano che la dura esperienza serviva a far capire al generale con quale aspra realtà dovrà misurarsi se vuole fare il politico ma la versione è un po’ troppo agiografica per essere credibile. Più probabilmente Salvini ha voluto mettere alla prova la sua idea di Lega deregionalizzata e collocata all’estrema destra. Però lasciando che a metterci la faccia fosse il graduato, oltretutto il meglio piazzato per ottenere un risultato che confortasse la sua strategia.

Comunque sia è andata al contrario e quanto all’apprendimento di Vannacci non se ne vede traccia. Al contrario promette di perseverare: «Chi pensa che mi fermi non mi conosce. Chi pensa che mi scoraggi sbaglia. Questi risultati mi fanno andare avanti in modo ancora piùdeterminato». Max Romeo, il capo dei senatori, puntualizza: «Bene il contributo di chi può dare un valore aggiunto ma se si perde l’identità non ci si può meravigliare del calo di fiducia. Queste elezioni confermano l’importanza che il territorio ha per la Lega». Si parla di Vannacci perché Salvini intenda.

Insomma, a tre anni dalle elezioni politiche la Lega continua a girare intorno al suo irrisolto dilemma, partito regionale fondato sulla rappresentanza d’interessi o partito nazionale a fortissima componente ideologica di destra. La Toscana, regione dove tranne un’effimera fiammata il Carroccio è sempre stato poco radicato, da questo punto di vista può offrire solo indicazioni. La partita si giocherà nelle roccaforti o in quel che ne resta: nelle regioni del nord. Anche per questo la tensione che continua a serpeggiare in Veneto va molto oltre la bega locale.

Stasera a Padova Salvini e Zaia terranno a battesimo la campagna elettorale di Alessando Stefani. È possibile, ma non certo, che il doge chiarisca il significato della frase sibillina ma sicuramente minacciosa pronunciata due giorni fa: «Forse io e il mio cognome siamo un problema per qualcuno. Se sono un problema vedrò di renderlo tale e mi organizzerò per rappresentare fino in fondo i veneti». Zaia è furibondo, anche più di quanto non faccia trasparire, per il veto prima sulla sua lista, poi sul suo nome nel simbolo del Carroccio. Da chi sia partito il secondo veto, quello sul simbolo della Lega, non è in realtà chiaro: la presenza del popolarissimo cognome non faceva certo piacere a FdI, perché avrebbe gonfiato i consensi del Carroccio a scapito dei brillanti risultati ottenuti dai tricolori nelle elezioni politiche ed europee. Non andava giù neppure agli azzurri, impegnatissimi nella sfida per strappare ovunque alla Lega il posto di seconda forza del centrodestra. Qualche problema lo creava anche a Salvini che di Zaia ha bisogno come acchiappavoti e per questo lo vorrebbe capolista in tutte le province ma non al punto di insidiare il suo primato col nome nel simbolo.

Zaia non ha ancora deciso se presentarsi ovunque. Il suo cerchio stretto fa capire che si spenderà a favore di Stefani ma meno di quanto potrebbe fare, però quel passaggio sulla «rappresentanza dei veneti», sommato alle parole sulla «campagna elettorale purificatoria in cui si vedono i numeri e si vede chi ha parlato per nulla» autorizza il sospetto che il leader veneto possa mirare, dopo e non prima delle regionali, al trono dello stesso Salvini. In fondo non è un segreto che tra lui e Meloni il rapporto sia ottimo e che altrettanto non possa dirsi di quello con il suo leader.

Per ora comunque il fronte nordico si limita a incassare con palese anche se inconfessata soddisfazione il «ridimensionamento» di Vannacci. Se mai passerà davvero all’offensiva, sarà solo dopo le prossime politiche..

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