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martedì 18 giugno 2024

Tutti contro Le Pen: ma l’estrema destra non fa più paura




di Daniele Zaccaria.

Fonte Il Dubbio 


Piccole istruzioni per l’uso della politica: il popolare giornale sportivo l’Equipe riporta le dichiarazioni di alcuni calciatori della nazionale francese, in particolare Kilian M’bappé e Marcos Thuram i quali hanno lanciato un appello agli elettori affinché vadano a votare i prossimi 30 giugno e 7 luglio «contro tutti gli estremisti e tutti coloro che dividono».

Anche se non viene citato esplicitamente, va da sé che i due campioni stanno parlando del Rassemblement National di Marine Le Pen e dell’astro nascente Jordan Bardella, fresco trionfatore delle elezioni europee e grande favorito per le legislative.

Il campo repubblicano (Front populaire, Rnaissance e quel che rimane del Lr), naturalmente esulta per questi prestigiosi endorsement, sperando che alimentino la mobilitazione generale contro l’estrema destra, specie tra i più giovani, magari ribaltando gli esiti di un’elezione che sembrerebbe già scritta. Andando però a leggere le migliaia e migliaia di commenti spuntati sulle pagine social de L’Equipe emerge una realtà del tutto diversa. Che si può sintetizzare in pochi elementari concetti: questi calciatori milionari e viziati pensino a correre dietro il pallone e a vincere le partite invece di dirci cosa dobbiamo votare, pensino a cantare la Marsigliese piuttosto che rilasciare dichiarazioni politiche, pensino a pagare le tasse in Francia, piuttosto che farci la lezione.

In molti accusano Mbappé di essere una sorta di mascotte della “macronia”, altri se la prendono con «l’ipocrisia di Thuram», che gioca in un paese «già governato dall’estrema destra», quasi tutti rivendicano il voto per il partito di Marine Le Pen, denunciando l’unione sacra di media e jet set contro l’ascesa del Rn. È un piccolo ma indicativo spaccato della Francia conservatrice e nazionalista ma non necessariamente estremista che oggi costituisce la spina dorsale del post-lepenismo, una classe media che ha portato il Rn a diventare primo partito in quasi tutti i dipartimenti del Paese.

Nel 2002 gli appelli incrociati di vip, sportivi, attori, musicisti e filosofi per sbarrare la strada all’ “orco” Jean Marie Le Pen trovarono terreno fertile in una società che rifiutò in blocco l’extreme droite, a 22 anni di distanza quegli stessi appelli hanno perso tutta la loro efficacia e sembrano produrre un effetto contrario, consolidando la narrativa vittimista della forza politica popolare ma ostracizzata dal sistema e dai poteri forti. E in parte è così.

La campagna elettorale più breve nella storia della Quinta repubblica è anche la più polarizzata; la stupefacente dissolution di Macron ha fatto entrare la Francia in una dimensione quasi psicopolitica, ha causato spaesamento e incredulità ma anche reazioni sane e pragmatiche, generando configurazioni impensabili alla vigilia. A destra i post-gollisti di Ciotti si sono spappolati con decine di deputati e dirigenti, Ciotti in primis, che verranno candidati nelle liste del Rn: è probabile che gli smarriti eredi del Genarale scompaiano dal pèanorama politico dopo il voto. A sinistra invece la dissolution ha funzionato come un acceleratore di particelle: in tre giorni i dirigenti di France insoumise, Parti socialiste, Pcf e Verdi sono riusciti a compiere più passi per l’unità della gauche che nei precedenti 22 anni, riuscendo a trovare un programma comune e un contenitore politico dai richiami suggestivi, il Front Populaire.

La politica spesso si ingolfa nei tempi dilatatati dove regnano tatticismi e narcisismi, quando invece avrebbe bisogno di reattività e di obiettivi chiari. In questo caso la strada è stata tracciata proprio dalla bizzarra mossa dell’Eliseo. Il Front populaire, che parte sfavorito, ha però ancora molte carte da giocare. In primo luogo una dinamica elettorale nuova che risponde alle attese di unna base frustrata dalle decennali fratture e divisioni interne e che ora ha la possibilità di ritrovarsi compatta contro l’avversario più temuto e disprezzato. Inoltre il sistema elettorale delle legislative, uninominale secco a doppio turno, è storicamente sfavorevole ai candidati del partito di Le Pen (il maggioritario fu reintrodotto dall’ex presidente Mitterrand proprio per limitare la presenza nelle istituzioni del Front National) che spesso sono stati eliminati al ballottaggio dopo aver stravinto il primo turno.

In questa polarizzazione estrema, il vaso di coccio sembra proprio Renaissance, il malconcio partito del presidente, molto lontano dai due poli secondo tutti i sondaggi e destinato a fare la fine di post-gollisti. Comunque vadano le cose Macron dovrà nominare un governo di coabitazione e prepararsi agli ultimi tre, complicatissimi anni del suo mandato presidenziale. Se alla fine dei giochi il Rassemblement national non avrà la maggioranza per governare la disfatta delle elezioni europee potrebbe trasformarsi in una sconfitta contenuta, o magari in una mezza vittoria.

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