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martedì 20 settembre 2022

Autonomia, torna la Lega secessionista. L'analisi di Massimo Villone

 


di Massimo Villone

Cosa è successo sul prato di Pontida? Per qualcuno, poco più che un momento di folklore. Non è così. Abbiamo assistito a un evento politico, con almeno tre piani di lettura. Uno interno alla Lega, uno nell'alleanza elettorale della destra, uno nella politica generale del paese.


Anzitutto, vediamo la Lega tornare alle origini e al proprio Dna separatista. Si chiude la parentesi della Lega nazionale di Salvini. La caduta nei sondaggi, aggravata dal timore di un sorpasso da parte degli alleati e competitors di Fratelli d'Italia, ha spinto allo scoperto i fan del recupero di una Lega esplicitamente nordista. È un preavviso di sfratto al segretario, se l'esito elettorale volgesse al peggio. Su Libero, abituale portavoce del leghismo, leggiamo il 19 settembre una sintesi degli interventi di Pontida.

Troviamo in prima linea i governatori leghisti Zaia e Fontana. Mandano un messaggio chiaro: il punto focale per l'azione politica della nuova Lega è l'Autonomia differenziata. Fontana richiama la tesi della locomotiva del Nord, affermando che se corrono i lombardi corre tutto il Paese. Ne abbiamo già dimostrato l'infondatezza. Più significativa la posizione assunta da Zaia, in parte anticipata sulla stampa nazionale con una intervista alCorriere della sera del 12 settembre, e in molte esternazioni sulla stampa locale, tra cui ad esempio L'Arena del 15. È possibile che abbia voluto non solo diffidare Salvini, ma anche dare un avviso di non sgomitare troppo a Fedriga, di cui da ultimo si sentiva parlare come di un altro possibile aspirante alla segreteria.


Zaia ribadisce per l'ennesima volta che l'Autonomia è nell'interesse di tutti, che è fattore di efficienza e responsabilità, che la contrasta chi non sa amministrare, che il rifiuto è contro la stessa Costituzione. Ma la novità è l'affermazione che "l'Autonomia vale anche la messa in discussione di un governo". Una posizione che forse già si leggeva tra le righe di altre esternazioni, ma che diventa a Pontida una esplicita minaccia, se non si darà seguito all'autonomia, già "pronta".

Ho già spiegato su queste pagine che non è così, essendo "pronta" solo una legge-quadro sul procedimento per la approvazione delle intese, che sono i veri contenitori dell'autonomia. Ma è chiaro che a Zaia la tecnicalità non interessa. Torna il lessico secessionistadegli anni '90, con i veneti che vogliono essere "padroni in casa propria". È una diffida volta sia a Salvini che ai possibili alleati di governo. Così il tema arriva a Palazzo Chigi come una urgenza piuttosto che una priorità. Una urgenza cui Zaia aggancia il potere della crisi, quale che sia l'esito elettorale. Se soddisfacente, è precettato Salvini. Se inaccettabile, potrebbe toccare a un altro segretario.

Il ricatto entra a Palazzo Chigi. La Lega non lascerà l'Autonomia affondare in una palude di inerzia. Alla base del pensiero di oggi c'è il grumo di luoghi comuni che da un trentennio a questa parte vengono rovesciati sul Sud dal veleno leghista. Qui non intendiamo affatto difendere o condonare la malamministrazione, il clientelismo, la corruzione o anche solo l'ignavia e l'incapacità del ceto politico e della classe dirigente del Mezzogiorno. Ma dibattiti, analisi e studi hanno dimostrato l'infondatezza di parte significativa di quei luoghi comuni, e la ferita al Paese che l'egoismo territoriale implicito nell'Autonomia differenziata inevitabilmente reca.

Bisogna rispondere. Anzitutto nel voto, dandolo a chi prende le distanze, e negandolo invece a chiunque mostri contiguità, adesione, tolleranza o indifferenza verso le tesi e gli obiettivi leghisti. Ci dica Fratelli d'Italia dove vuole giungere con lo scambio tra Autonomia e presidenzialismo inserito nell'accordo di governo. Ci dica Forza Italia fin dove arrivano e su cosa si appuntano i dubbi espressi da Tajani sull'Autonomia. Ci dica Azione in cosa si traduce la simpatia verso le pretese separatiste della Lega. Ci dica il Pd cosa aspetta a prendere le distanze da Bonaccini, da anni a braccetto con Zaia e Fontana.

Basta ambiguità. Basta fingere che il problema non esiste. A Monza Letta dice che l'Italia non uscirà dalla crisi con uno scontro tra il partito del Nord e quello del Sud. Giusto, ma solo in parte. Perché un partito del Sud al momento non è in campo, ma c'è invece di fatto quello del Nord, ed è trasversale. Da più di 30 anni è all'attacco del Sud. Se non arriveranno segnali inequivoci di un cambio di rotta, un partito del Sud prima o poi ci sarà. Cosa rimarrebbe del Paese in uno scontro tra leghismi contrapposti?

Fonte La Repubblica Napoli 

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