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lunedì 1 agosto 2022

La triste parabola di Di Maio da apritore di scatoletta ad alleato dell'eterno dc Tabacci


di Raffaele Schiavone 

Il 25 settembre gli italiani saranno -finalmente- chiamati alle urne per le elezioni politiche. Il PD ha definitivamente abbandonato il M5S abiurando di fatto quella sinergia di amorosi versi che per due anni e passa è stata sbandierata dalle due forze politiche, con l’appellativo di “campo largo” con tanto di benedizione di alcuni padri nobili dell’intellighenzia italiana come Bersani e Bettini. Il campo largo è stato sacrificato nel nome della continuità dell’agenda Draghi tanta cara ai dem di Letta, il quale nel frattempo cerca di far spazio alla cartelletta (epiteto usato proprio dal guru dei pentastellati, Beppe Grillo) scissionista e neo-democristiana Luigi Di Maio che senza vergogna alcuna rinnega il suo: “MAI CON IL PARTITO DI BIBBIANO”, in rifermento al PD dell’estate del 2019, e con nonchalance tipica dei peggiori trasformisti alla Mimmo Scilipoti, è pronto a sperare in un nuovo posto al sole per il prossimo quinquennio -perché l’espressione: “tengo famiglia” è una cosa sacra e intoccabile- con tanti saluti e benedizioni al limite del doppio mandato che Gigino da Pomigliano d’Arco benediceva e invece lodava come una sorta di conditio sine qua non per tutti coloro che dovevano fare politica affinché la politica non diventasse mero mestiere, praticamente Di Maio è risuscito a smentire se stesso innumerevoli volte. Lui come leader dei cinque stelle doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ed invece ha fatto la fine di un Bruno Tabacci qualunque. D’altronde anche questa non è buona politica.

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