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mercoledì 3 agosto 2022

Con il patto Letta Calenda la sinistra vara la nuova macchina da guerra




di Raffaele Schiavone 

Le elezioni politiche sono ad un passo e nel campo democratico e progressista assistiamo ad una stucchevole riedizione de "la gioiosa macchina da guerra", copyright dell'ultimo segretario PCI Achille Occhetto. La storia è maestra di vita, e non occorre un dottorato di ricerca in storia e filosofia per affermare ciò, ma evidentemente non è così per il centrosinistra italiano. Finalmente ieri abbiamo assistito alla fine di un pietoso tira e molla, molto pre-adolescenziale nei modi, tra Enrico Letta e Carlo Calenda. I due leader hanno trovato l'accordo e il 25 settembre correranno insieme all'interno di una vera e propria accozzaglia di personalità politiche agli antipodi come: il Compagno fermo ancora al 1968 Nicola Fratoianni, il democristiano esperto in alleanze anticonvenzionali Bruno Tabacci, l'ex grillino giustizialista ora draghiano garantista e liberale Di Maio, il manager saccente e snob della Roma bene prestato alla politica Carlo Calenda, senza dimenticare l'eterna prezzemolina Emma Bonino che trova il tempo di vendicarsi nei confronti dell'ex premier Matteo Renzi, reo nel 2014 di averle revocato l'incarico da ministro degli esteri in favore della Mogherini, affermando senza troppi giri di parole che alla nascita del terzo polo tra +Europa/Azione e Italia Viva ha preferito l'alleanza con il PD per un. suo posto quasi certo tra gli scranni di Montecitorio. 
Ecco un rapido identikit. Alla semplice apparenza può sembrare una semplice e allegra combriccola di innocui buontemponi che giocano con il Palazzo, ma in realtà costoro sono uniti da due fattori: dal becero odio verso i valori del patriottismo e ultimo, ma non meno importante per loro, il mantenimento dello status quo delle cose (passaporto verde vaccinale, limitazione dei punti di vista divergenti dalla propaganda di regime, controllo dei movimenti bancari tramite l'imposizione surrettizia al pagamento elettronico e tanto altro ancora); perché per loro vale il mantra gattopardiano: "Tutto cambia perché nulla cambi"

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