La Lega di governo e di lotta per restare al governo, a prescindere dagli alleati, non l’ha inventata Matteo Salvini, esisteva già prima con Umberto Bossi. Ai tempi del primo governo Berlusconi, la Lega protestava, era il 1994 contro il decreto Biondi sulla carcerazione preventiva. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, minacciò le dimissioni. Nel dicembre dello stesso anno, causa divergenze insanabili, il Carroccio uscì dalla maggioranza e Berlusconi fu costretto alle dimissioni. Sono passati oltre 25 anni, la Lega è cambiata, ha perduto il Nord, l'odio per i meridionali come la secessione sono quasi scomparsi ed è diventata finanche nazionalista. Quello che non è cambiato è l’approccio al governo. Sta con un piede dentro al governo Draghi ma anche con un piede fuori. La domanda nasce spontanea: quanto potrà reggere l’esecutivo, sottoposto a tali tensioni.? Il problema non è tanto la tenuta di Mario Draghi, che sicuramente non è Nicola Zingaretti e quindi non si dimetterebbe mai per stizza, ma quella degli altri partiti, Pd e M5s. Il primo impegnato in imprescindibili ma al stesso inutili battaglie sui capigruppo (alla Camera è stata scelta Debora Serracchiani), sulle correnti, tutte di potere, tutte dagli scarni contenuti politici ed eventuali rapporti con le sardine ( il nulla vestito da niente), il secondo sull’eredità da consegnare a Beppe Conte, che si è fatto un giorno di università a Firenze, ed ora è pronto per capeggiare il M5s di cui il Pd è fedele alleato.
Lo schema insomma sembra essere abbastanza chiaro. Il leader della Lega sfrutta la partecipazione al governo Draghi per massimizzare il risultato politico, dopo il disastro del Papeete. Tutto fin troppo chiaro. Difficile, però, che gli riesca l’operazione avvenuta durante il Conte 1 quando Salvini cannibalizzò il M5s. In quel caso, la Lega aveva più libertà di movimento, il segretario leghista era al governo ed era in tv quotidianamente da ministro dell’Interno, a parlare di invasioni e sicurezza argomenti cari al corpo elettorale italiano ed i sondaggi giunsero a quotate la Lega oltre il 33%. A fine ottobre, salvo sorprese, si vota per le amministrative e le elezioni sono un'altra storia. Salvini è tutt’ora il capo della coalizione di uno strano centrodestra, di governo( Lega e Forza Italia e di lotta (Fratelli d'Italia). Il confronto con Giorgia Meloni potrebbe rivelarsi molto più complesso di qualche mese fa, quando entrambi erano all’opposizione. La leader di Fratelli d’Italia mostra una certa solidità , anche perché a differenza di Salvini è solo di lotta e non di governo. Alle elezioni politiche del 2013, i partiti che sostennero il governo Monti ne uscirono parecchio ammaccati, si pensi al risultato del Pd bersaniano. Insomma, Salvini deve riuscire a far passare qualche sua battaglia e a distinguersi, ma senza esagerare. Gli basterà o sarà costretto ad alzare continuamente il tiro?
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