Come si è compreso, leggendo la lista dei ministri, il governo Draghi non é né un governo esplosivo, né tanto meno rivoluzionario. Sicuramente non soddisfa tutte le attese, davvero troppe, che si erano create.
Il collega Ernesto Ferrante, al quale sono legato da una quasi trentennale amicizia e da una militanza giornalistica comune con quella palestra di libertà chiamata Rinascita, quotidiano di Sinistra Nazionale, in interessante articolo, ci spiega perché il neonato governo Draghi sia una insalata indigesta per molti.
Anche se la fredda analisi numerica delle caselle può far trarre conclusioni di senso diverso, Renzi, a mio avviso, è quello che ha ottenuto di più, nell'immediato ma anche in prospettiva futura, soprattutto considerando le percentuali da prefisso telefonico di cui gode: il ruolo chiave, quello di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, è andato a Garofoli (un tecnico di area renziana); un'altra casella ministeriale, quella della Famiglia, pure l'ha avuta (con la Bonetti), e avrà, com'è immaginabile, la delega ai Servizi (quella che più voleva e vuole).
Ha fatto fuori Conte (un personaggio mediaticamente pesante, scomodo da "gestire" per gli antagonisti) e due suoi ministri "bandiera": quelli della Giustizia e dell'Istruzione.
Inoltre, e sono gli aspetti per me più importanti, ha fatto per primo e con più forza il nome di Draghi e, soprattutto, ha costretto quelli del "mai con" a sputtanarsi governando insieme.
Il PD con la Lega, dopo aver fatto già cadere il veto sul M5S, la Lega con il PD, il M5S con Berlusconi.
È pur vero che tanti elettori, per ottusità o interesse, ingoiano qualsiasi rospo benedetto dal rispettivo partito di appartenenza, ma la parte "libera" non manca.
Venendo meno certe battaglie "identitarie", qualcosa inevitabilmente si perde. Molto perdono anche Lega e M5S.
Il Carroccio ha fatto un salto indietro nel tempo, tornando ad essere un partito macro-regionale del Nord, come dimostrano anche le designazioni ministeriali. Il progetto salviniano della Lega Salvini premier, quale partito nazionale, è definitivamente morto e sepolto. Hanno vinto i governatori del Nord e Giorgetti, che si conferma un abilissimo tessitore di trame. Salvini è solo un grimaldello da agitare alla bisogna.
Il M5S, infine, ha perso identità e motivi fondanti. È un'aggregazione verticistica qualsiasi, geneticamente modificatasi nei palazzi romani.
Ad uscirne rafforzato, insieme a Renzi, è anche Berlusconi. Con un partito ormai evaporato e i due colleghi di coalizione con più energie e seguito, è riuscito a piazzare la zampata che conta, riportando al centro della scena tre suoi fedelissimi della prima ora, ritagliandosi un ruolo tutt'altro che di secondo piano.
Chi ha accettato di sostenere Draghi, adesso non potrà sfilarsi. E reputo molto astuta la mossa di tirarli tutti dentro, promuovendo a ministri i loro uomini di punta. Nessuno di loro potrà più giocare su due tavoli: quello del governo e quello della "lotta".
Dovranno prendersi le responsabilità "in solido" di tutte le mosse del governo. Sia quelle dei loro colleghi ex acerrimi nemici, sia quelle dei tecnici fedeli al premier, chiamati a ricoprire alcuni ruoli chiave.
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