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martedì 15 settembre 2020

15 settembre 1996 Bossi proclama l'indipendenza della Padania


Il rito di fondazione del nascente Stato padano comincia solennemente con un battesimo pagano (la raccolta dell’ampolla d’acqua sacra del dio Po) e finisce con l’invito prosastico a “gettare il tricolore nel cesso”. Il 15 settembre a Venezia non ci sono (né ci potrebbero entrare) i due milioni di persone che Bossi millanta ma anche i 120mila partecipanti reali sono una cifra. Intanto sul territorio i militanti “duri e puri”, spalleggiati dai dirigenti più esplicitamente di destra, come il torinese Mario Borghezio, s’impegnano nelle ronde securitarie, nella caccia a prostitute, piccoli spacciatori e immigrati in genere. Un terreno fertile per il reclutamento di attivisti e la conquista di simpatie elettorale di ampi strati sociali che, ansiosi di ordine e sicurezza, sbandano a destra. Quando il “prefetto terrone” destituisce il sindaco leghista di Monza per una condanna per abuso d’ufficio, il manifesto “indipendentista” della sezione cittadina è difeso dal segretario provinciale. Borghezio lo condanna: toni troppo moderati. Sulla stessa linea si colloca l’esercizio sistematico della difesa e della promozione del peggiore egoismo sociale, con il tentativo di introdurre nei concorsi indetti dalle amministrazioni leghiste (per lavoro e casa) un bonus per i residenti padani. Quando si sforza di respingere le accuse di razzismo (“Se esiste un concetto estraneo alla Lega, è il razzismo…Oggi il sistema capitalistico porta gli extracomunitari da noi per favorire la nascita di una società multirazziale, di uomini identici con uguali ambizioni e nessuna tradizione…Per me tutti gli uomini sono uguali, hanno la medesima dignità. Il più nero dei neri ha gli stessi diritti del mio vicino di casa. Ma a casa sua” Bossi rievoca le ossessioni della più radicale destra antimondialista come ci racconta Ugo Maria Tassinari nel suo libro Fascisteria.
Articolo che potete leggere cliccando qui

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