Dalle pagine de Il Tempo, storico quotidiano romano, il collega Antonio Rapisarda, in un interessante articolo che riportiamo per intero, ci racconta l'incredibile exploit della Lega nazionalista e sovranista divenuta la prima forza politica del Belpaese. Un fenomeno, raccontato, con dovizia di particolare, dall'inizio della campagna elettorale di cinque anni fa, quando la Lega stava al 4%
Ripetiamo, si tratta – al momento della chiusura del nostro giornale - di proiezioni ma con dei distacchi tali che permettono comunque di ipotizzare l’applicazione di quello schema che il leader della Lega ha ripetuto negli ultimi giorni di campagna e ancora ieri all’uscita dal seggio elettorale, insistendo con sapienza tattica sull’importanza del risultato in Italia in chiave europea: «Fino a cinque anni fa si sapeva qual era il risultato già prima di votare, questa volta è la prima volta che gli italiani possono cambiare gli equilibri in Europa». Ma se gli equilibri reali a Bruxelles sono ancora tutti da decrittare (di certo vi è la fondamentale vittoria di Marine Le Pen in Francia nei confronti di Emmanuel Macron così come l’exploit di Viktor Orban in Ungheria a fronte, però, di performance non altrettanto esaltanti degli alleati in Olanda, Spagna e Paesi del Nord), il risultato potenziale va letto anche – se non soprattutto – in chiave interna, dopo un mese e mezzo di frecciate politiche sferrate da Luigi Di Maio & co che hanno lacerato i rapporti e la tenuta nervosa dello stesso governo: «Saremo il primo partito – ventilava non a caso alla vigilia il leader leghista -, daremo le carte». Primo partito sì, e questa è la lettura in controluce che si può dare delle proiezioni, ma non alle percentuali monstre registrate per un periodo dagli istituti demoscopici (dal 32 al 36%): quelle che avrebbero incoraggiato a capitalizzare al massimo e immediamente il risultato di queste Europee.
In ogni caso l’ottima performance di Fratelli d’Italia (il 5% registrato dagli exit poll) insieme alla tenuta di Forza Italia contribuiscono a legittimare e a incoraggiare l’agenda sviluppista e anti-tasse della Lega in quella seconda fase che si aprirà con tutta probabilità con quel «contratto riscritto in base ai voti delle Europee» che è stato il mantra dei luogotenenti salviniani (Giancarlo Giorgetti in primis) nei giorni di massima tensione con i pentastellati.
Che l’aria fosse buona per la Lega lo ha ammesso del resto lo stesso ministro dell’Interno non appena giunto ieri al seggio elettorale nella scuola media di via Martinetti a Milano («Sono buoni ma io finché non vedo non credo. Faccio come San Tommaso»), con una premessa che ha certificato la linea “zen” tenuta durante le ultime settimane infuocate: «A me interessa vincere in Italia per cambiare l'Europa. Di tutte le altri analisi, i ministri, i rimpasti, no... In Italia non cambia nulla, cambia tutto in Europa, per quello che mi riguarda, se la Lega vince», ha assicurato Salvini ai cronisti che lo circondavano abbassando scaramanticamente l’asticella sul risultato soddisfacente («dal 18 per cento in su»). Non è sfuggita, però, la lettura che vede l’ottimo risultato del suo partito strettamente legato alla capacità egemonica sui temi del governo: «Se la Lega sarà il primo partito, vuol dire che gli italiani hanno apprezzato quello che ha fatto». Certo, Salvini ha auspicato fin troppo sportivamente «identica fortuna e identico successo per gli alleati, perché gli unici miei avversari stanno a sinistra, sono il Pd», ma è fin troppo chiaro che il nuovo “Parlamento” disegnato dalle proiezioni elettorali vede capovolte le gerarchie del 4 marzo 2018. Se ciò sia sufficiente per considerare già chiusa la legislatura o per una nuova newco dell’esecutivo a trazione Lega (magari con qualcosa di più di un rimpasto) si vedrà nelle prossime ore. Ciò che è ineluttabile, per Salvini, «Ã¨ che da domani tutti la smettano di attaccare, insultare, criticare, e si lavori rispettando il lavoro degli altri. Da domani tranquillità , pace e bene». Tradotto: Tav, flat tax, autonomia.
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